
Come sta la musica dal vivo a Parma
Il 2020 sarà ricordato probabilmente come l’anno più buio per il settore della musica dal vivo e dello spettacolo. Alcune delle realtà più importanti, nell’ambito musicale parmense, hanno provato a far fronte all’emergenza con soluzioni inedite, come lo svolgimento del Festival Verdi nella cornice di Parco Ducale o attraverso lo streaming (Barezzi e Traiettorie), con risultati soddisfacenti. Altre ancora sono state costrette a rimandare a tempi migliori (LOST Festival).
Ma prima della pandemia, com’era il mondo della musica live a Parma?
La musica classica
Quando si parla di musica a Parma il collegamento più immediato è quello con la musica classica e il Festival Verdi. D’altronde, al musicista di Busseto è dedicata una via, un ponte, un mausoleo e una statua che siede, non a caso, sulla panchina di fronte la Casa della Musica. Il suo viso è riprodotto sui tavoli degli aperitivi in via Farini, sui manifesti affissi al teatro, sui totem ludici accanto al viso di Maria Luigia e della Schiava Turca del Parmigianino. Il Festival Verdi, arrivato alla sua XX edizione, investe letteralmente la città per un periodo di tempo relativamente lungo, con artisti di rilievo internazionale e attirando visitatori da tutto il mondo, producendo inoltre un positivo ed importante impatto economico che investe più settori. Per l’edizione 2019, senza l’emergenza sanitaria in atto, le presenze registrate sono state di 26.353, con quasi il 60% di presenze extraterritoriali. Gli spettatori under 30, si legge dal report del festival che la Fondazione Teatro Regio stila, sono stati 1.648, mentre nel 2018 erano stati 1.729. Considerando i nuclei familiari con ragazzi al seguito (c’è il RegioYoung, ma solo per i bambini da 0 a 14 anni), pare che il Festival Verdi non sia proprio un festival per giovani. Eppure, il Teatro Regio è sì il tempio per eccellenza della musica a Parma, ma è anche luogo di aggregazione di ragazzi e ragazze che fra birre e chitarre sequestrate con repentini blitz (t.ly/AybJ) sembrano più rimanere all’esterno, seduti sugli scalini, che partecipare agli spettacoli proposti dalla Fondazione Teatro Regio. Perché?
Per Gianni Giangrasso, percussionista della Filarmonica Toscanini, coinvolta in alcuni spettacoli del Festival Verdi, uno dei motivi potrebbe risiedere nel fatto che “il Teatro, nei mesi precedenti e successivi al Festival Verdi è per la maggior parte del tempo chiuso, non è più quel luogo di ricovero dell’anima – e in più, continua dicendo che il teatro – si è legato a una classe borghese che piano piano si sta spegnendo. Tante persone non si sono mai potute permettere una prima, uno spettacolo –in più, racconta che – chi gestisce il teatro si è arroccato su delle posizioni elitarie e autoreferenziali”. La soluzione per far vivere dall’interno il teatro anche ai più giovani, per Giangrasso, potrebbe essere “una programmazione varia, continua e per le tasche di tutti”. Per Martino Traversa invece potrebbe essere un fattore culturale ad allontanare la fascia di popolazione più giovane dalla musica classica. Ideatore ed organizzatore del longevo Festival Traiettorie e presidente della fondazione Prometeo, da 30 anni, attraverso il suo festival, Traversa va decisamente verso una direzione musicale più innovativa di quella intrapresa dalla Fondazione Teatro Regio, dedicandosi alla musica classica contemporanea, anche detta musica colta: “all’inizio è stata dura perché occupandoci di musica contemporanea, musica colta, in Italia non sapevano nemmeno cosa fosse”. Sembra infatti che Traiettorie (che si svolge in location diverse dal Regio, come il Teatro Farnese o la Casa della Musica) venga seguito perlopiù da un pubblico specializzato o estero, che da un pubblico di “massa”. Il motivo, come emerge dalle considerazioni di Giangrasso e di Traversa, che su questo punto convergono, potrebbe essere che all’estero la cultura musicale, soprattutto in ambito classico, è di gran lunga maggiore di quella dei giovani italiani: “il problema dei giovani è un problema culturale e istituzionale, se si pensa al ruolo che ricopre la musica nelle scuole o nelle università italiane, è evidente” conclude Traversa, che però, sottolinea anche una mancanza d’apertura verso la contemporaneità e l’innovazione in città, con “il continuo riproporre l’opera, dimenticandosi che la musica di Verdi era una musica di rottura e innovativa ai suoi tempi, mentre qui ci si culla sulla notorietà di Verdi per eredità e non si propone nessuna novità”.
Se per la musica classica persiste quindi una certa refrattarietà, sia per motivi culturali, come evidenziato da Traversa e Giangrasso, sia per l’incapacità dell’istituzione a capo del Regio di coinvolgere i più giovani, magari riuscendo a concepire un percorso d’avvicinamento all’opera per tutte le tasche e che dia la possibilità ai più ignoranti (nell’accezione socratica del termine) di conoscerla e apprezzarla, è anche vero che a Parma c’è tutta una scena che tenta, con risultati anche notevoli, di guardare oltre la – si può definire pesante? – eredità verdiana o la musica classica in generale. D’altronde, che “il mondo sta cambiando, la musica sta cambiando” lo aveva detto Diane nel celebre film “Trainspotting” del 1996, e non aveva tutti i torti. Sembra infatti che quello della musica classica sia ormai un linguaggio sempre più distante per un pubblico giovane. Generi come il pop, il rock, l’elettronica dance o quella di stampo più sperimentale sembrano avere un seguito ben maggiore. E sono due a Parma i festival che, con ottimi risultati, indossano quell’abito moderno, di qualità, elegante ma non classico, che potrebbe permettere a Parma di non sfigurare di fronte altre città, in termini di qualità e quantità dell’offerta musicale. Sono il Barezzi Festival e il Labyrinth Original Sound Track (LOST) Festival. Il primo prende il nome da una figura emblematica per la vita di Giuseppe Verdi, Antonio Barezzi di Busseto: imprenditore e mecenate, attraverso il suo sostegno economico permise al musicista di proseguire gli studi e di diventare ciò per cui tutti lo ricordano. Non è un caso infatti, che proprio il Barezzi Festival si svolga principalmente nei due teatri a cui la figura di Verdi è più legata: il Teatro Regio e il Teatro Verdi di Busseto. Il festival nasce nel 2007 e la sua genesi, quasi per assurdo, nasce proprio da una forma che Giovanni Sparano, l’ideatore e direttore artistico del festival, definisce di mecenatismo: infatti, il Barezzi Festival comincia, come racconta Sparano, scrivendo “a Franco Battiato, il primo che mi venne in mente. Ci invitò nella sua casa a Milo e lui fu un po’ il nostro Barezzi – perché – sposò la nostra causa e decise di suonare a Parma gratuitamente». Con la notizia dell’appoggio di un musicista come Battiato, di cui sarebbe superfluo scrivere l’importanza che rappresenta per la musica italiana, Sparano trovò il sostegno delle istituzioni “il comune niente, la provincia invece sposò il progetto”. Senza l’appoggio del musicista siciliano sarebbe stato di certo più difficile perché “figurati se a Parma davano spazio a due personaggi del meridione (Sparano e la moglie si erano trasferiti a Parma da Eboli ndr) – racconta – è una società abbastanza chiusa”.
Negli anni il Barezzi Festival è stato in grado portare sul palco del Teatro Regio e del Verdi di Busseto artisti contemporanei di caratura internazionale, come Philipp Glass, Fennesz, Benjamin Clementine, capaci di attirare un pubblico eterogeneo, da più parti d’Italia e dall’estero. Allo stesso tempo il Barezzi è stato però capace di diversificare l’offerta attraverso eventi in cui si sono esibiti artisti italiani (come Levante, TheGiornalisti) capaci di attirare un pubblico più giovanile e di massa, principalmente studenti fuorisede o giovanissimi cittadini. Dal 2019 il festival è stato assorbito dalla Fondazione Teatro Regio (pur mantenendo indipendenti le scelte della direzione artistica) segno che la direzione del Teatro Regio stia effettivamente intraprendendo un percorso di apertura verso altri generi musicali, oltre all’opera.
Se per il Barezzi Festival e il suo ideatore persiste quindi la volontà sia di mantenere forte il legame con la tradizione parmense, a partire dai luoghi in cui si svolge e dal richiamo all’emblematica figura di Barezzi, sia di creare una proposta musicale contemporanea e più inclusiva, Lost Festival punta invece a creare un universo inedito per il territorio parmense, con l’ambizione di diventare un punto di riferimento nel circuito dei festival musicali italiani ed europei. E questo grazie all’esperienza, in campo musicale e internazionale del direttore artistico Alessandro Albertini (già manager di Giorgio Moroder, 3 premi oscar) e di una location suggestiva, “giovane” ma che di certo farà presto (se non lo è già) parte della storia di Parma e della sua provincia: il Labirinto della Masone. Inaugurato nel 2015, il labirinto più grande del mondo è sede della Fondazione Franco Maria Ricci, nonché culla della collezione, dall’inestimabile valore culturale, del famoso editore, purtroppo recentemente scomparso. LOST a causa delle difficoltà emerse per via dell’emergenza sanitaria, ha dovuto annullare la sua seconda edizione, dopo una prima che a detta di Albertini “è stato un successo al di sopra delle aspettative, con feedback positivi sia dal pubblico che dagli artisti”. Tuttavia nel territorio di Parma non è facile creare un progetto così ambizioso, e non a causa del virus, ma perché “il Teatro Regio e la Fondazione sequestrano gran parte delle risorse dell’Assessorato alla Cultura e di contributi a livello regionale e statale – perciò è difficile, continua Albertini – andare alla regione e ottenere risorse per cose nuove e diverse, è difficile andare all’assessorato, proporre e ottenere fondi per cose nuove e diverse”. Senza nulla togliere al valore storico, culturale ed economico del Festival Verdi, è anche vero, spiega Albertini, che in Italia esempi virtuosi di conciliazione fra tradizione e innovazione esistono, come il legame di Lucca con Puccini e la presenza del Lucca Summer Festival, o dell’Arena di Verona, in cui, oltre alla stagione lirica “una grandissima parte del calendario viene occupata da una proposta contemporanea, pop o moderna: c’è l’Aida, c’è la Traviata, ma a riempire costantemente l’Arena – spiega Albertini – sono Roger Waters, i Parl Jam, i Radiohead”. Fra gli obiettivi prefissati per le prossime edizioni di Lost Festival c’è quello di costruire “una comunità, un pubblico attento attorno a una proposta artistica di valore, europea. Il festival nasce a Fontanellato, al Labirinto, ma per guardare al mondo – Albertini dice infatti che – nei suoi obiettivi non c’è mai stato quello di essere un festival locale, ma quello di valorizzare sicuramente il territorio, parlando però a un pubblico internazionale”. E d’internazionale c’è stato molto sia alla prima edizione che a quella rimandata, con artisti come Cabaret Voltaire, Alva Noto, Jon Hopkins, Tim Hecker e Ben Frost, così come una buona parte di pubblico proveniente da diversi paesi.
A questo punto, sorge spontanea una riflessione: c’è da chiedersi se il tempo ‘perso’ a causa dello stop imposto da questa pandemia andrà sprecato o se invece potrà rivelarsi utile per ripensare il modo di fare eventi musicali a Parma, aspettando tempi migliori per poter rivivere qui bellissimi momenti che la musica dal vivo sa regalare, di qualsiasi genere essa sia. E soprattutto, va ripensato il ruolo delle istituzioni, che potrebbero dedicare più risorse per la realizzazione di un’offerta musicale (e quindi culturale) più ampia e varia e che riesca ad essere più inclusiva e moderna; di riuscire a conciliare l’importante eredità storica di Verdi con nuove proposte musicali, che, come visto, non mancano. Perché non bastano le seppur ottime tre giornate l’anno del Barezzi a rendere il Teatro quel ‘rifugio dell’anima’, come lo ha definito Giangrasso, anche per i più giovani e non solo per quella fascia di popolazione “borghese” che diventa sempre più vecchia e residuale; perché serve un percorso di avvicinamento culturale, didattico, che deve partire proprio da quei luoghi ‘sacri’ per la musica affinché, chi ignora, possa essere in grado di conoscere e apprezzare la qualità delle proposte che ad esempio Traiettorie, da decenni, propone; perché progetti come quello di LOST siano incentivati ed appoggiati, per poter creare anche un importante flusso turistico per la città, al pari se non migliore di quello che già il Festival Verdi crea da sé. Chissà quindi se ‘Parma, Domani, Forse’ potrà diventare davvero una ‘città della musica’ per tutte e tutti.
Vincenzo Alessandro