Cosa pensano i parmigiani?

Sulla scomparsa dell’opinione pubblica

Che idee e opinioni hanno i parmigiani? Qual è la nostra attuale “visione del mondo”? Cosa ci attendiamo e auspichiamo per il prossimo futuro? Ci sentiamo più o meno europei o comunque in linea con l’attuale sentimento nazionale? La “parmigianità” mantiene tratti peculiari, specifici del territorio oppure nel mondo e società globale d’oggi è puro e sbiadito folklore? A queste e tante altre domande possiamo rispondere solo facendo ipotesi, proiettando o riducendo a scala locale quel che accade in giro per l’Italia e per il mondo. Insomma il concetto che vorrei esprimere, raccogliendo anche l’invito di Billy Balestrazzzi a scrivere un “Manifesto dei nuovi parmigiani” (http://pidieffe.eu/se-il-manifesto-della-parmigianita-lo-scrive-una-moldava), e sul quale brevemente ragionare è: “Ci conosciamo ? Abbiamo idee e sentimenti comuni? Condividiamo una visione e un modo di essere parmigiani “? Concetto che nasce dall’avvio in questi giorni del censimento dell’Istat, che da quest’anno diventa permanente, cioè a cadenza annuale. Si tratta però di una rilevazione statistica, sociodemografica. Ovvero dati e numeri fondamentali, ma che poco ci dicono, non essendo ricerche sull’opinione, cosa, appunto, i parmigiani pensino. Ma anche sentano, nell’accezione diventata reale delle “percezioni”, ovvero di ciò che si pensa vero e agente, anche se i numeri e la realtà dicono che, quel che si crede, non è.
È così che mi è venuto da pensare quel che scrivevo all’inizio e che ha a che fare anche con la recente classifica (https://www.italiaoggi.it/news/qualita-della-vita-) che ogni anno ci dice qual è il posto di Parma fra le città italiane dove la qualità della vita è più alta. Naturalmente fa piacere sapere che siamo ai primi posti (come peraltro da 25 anni), ma pure qui si tratta di numeri, statistiche che nulla dicono sul “sentiment” parmigiano. Che mai come in questi ultimi anni, ma particolarmente ora , mi sembra, indecifrabile, invisibile. Non catalogabile. Forse intuibile, ma ricavandolo da situazioni più generali, nazionali e internazionali. Dunque navigazioni a vista. Deduzioni e “ricalcoli sentimentali” fatalmente arbitrari, in assenza di rilevazioni più accurate e approfondite, attraverso gli strumenti di rilevamento scientifico dell’opinione pubblica.
Ora è vero che noi italiani non abbiamo la tradizione anglosassone delle ricerche sociali e dei periodici rilevamenti sul pensiero collettivo che viceversa vengono svolti regolarmente negli Usa. Non esiste in Italia qualcosa di simile al Pew Research Center (www.pewresearch.org) che è un osservatorio permanente sullo stato (anche emotivo e spirituale) del paese. Oltreoceano sondaggi, rilevamenti, osservatori e survey sui più svariati temi e argomenti d’attualità sono all’ordine del giorno. Da noi invece le ricerche sull’opinione hanno quasi esclusiva destinazione politica e si scatenano in prossimità degli appuntamenti elettorali. Questa tendenza è affatto nuova, ma il problema è che ora sono praticamente scomparsi i partiti politici, che in una situazione di realtà e aggregati stabili, come è stato sino a una decina d’anni fa, consentivano, con un’elevata approssimazione alla realtà, di avere un quadro di orientamento abbastanza attendibile. L’appartenenza a quella o quell’altra forza politica, ognuna d’esse stabilmente inserita in un campo progressista o moderato, di sinistra o destra, con ancoraggi ideologici evocanti valori chiaramente espressi, consentivano infatti di tracciare presumibili e attendibili orientamenti e convinzioni sui temi di volta in volta caldi.

La “parmigianità” mantiene tratti peculiari, specifici del territorio oppure nel mondo e società globale d’oggi è puro e sbiadito folklore?

Adesso invece che questo ordinato e prevedibile sistema è saltato, come i riferimenti ideologici, nel contempo che i social alimentano un’opinione pubblica in continua mobilità e mutazione e i leader d’opinione (consolidata) sono stati sostituti dagli influencer (di giornata), cosa pensino i parmigiani nessuno sa e può dirlo. L’ascesa nelle ultime elezioni politiche delle forze populiste (M5S e Lega) che si definiscono né di sinistra né di destra, ma nemmeno di centro, ha reso e rende impossibile dedurre se i parmigiani siano più o meno europei, ma anche più o meno d’accordo sui matrimoni fra persone dello stesso sesso. Oppure quanto una città rossa per un cinquantennio e poi “civica”, ma solo per il governo locale, dopo lo scorso 4 marzo sia diventata d’incanto “leghista”. Se poi volessimo, muovendoci fra estremi valoriali, stabilire una classifica “esistenziale” dei gusti e disgusti cittadini, delle passioni o dei valori non negoziabili non sapremmo proprio dove parare. Perchè dovremmo partire da ciò che non c’è, anche se non c’è mai stato, ma oggi sarebbe più che necessario. Di più: indispensabile. Ovvero un Osservatorio sull’opinione pubblica di Parma, un luogo di rilevamento del comune sentire, uno strumento conoscitivo della volontà generale.
Comunque una struttura leggera (anche economicamente), creata con il concorso delle amministrazioni locali e delle associazioni imprenditoriali e professionali, che periodicamente sondasse l’opinione cittadina, anche in riferimento alle grandi questioni emergenti. Il web, considerato che l’accesso e la presenza online sono nella disponibilità del 90% e oltre della cittadinanza adulta consentirebbe, intanto, di sollecitare la creazione di una “rete civica”; e in prospettiva (vicina) di definire un nuovo e fondamentale strumento di partecipazione alla “cosa pubblica” e di espressione d’un effettivo e informato “diritto di cittadinanza”. In definitiva di porre le basi per cercare – o almeno cominciare a farlo – modi di fare politica allineati al tempo travolgente che stiamo vivendo. Senza concessioni “webbare” – la rete feticcio dei grillini- ma nemmeno nostalgie per i vecchi partiti. Pensare e fare in modo che ci sia, e venga costantemente alimentata, un’opinione pubblica informata e ascoltata è infatti il migliore ancoraggio a un sistema democratico e il perfetto antidoto al montante leaderismo dei “partiti personali”. 

Giorgio Triani