
Enrico Montanari, neurologo e ricercatore: «ho studiato la sclerosi multipla in tutto il mondo»
L’intervista
«C
redo di essere contento di aver raggiunto a 74 anni una storia di esperienze e conoscenze che mi hanno reso una persona soddisfatta e ciò condiziona i miei sentimenti e le mie emozioni. – si introduce così Enrico Montanari, medico neurologo, che ci parla oggi – Io consiglio sempre di avere una professionalità seria ed entrare nel proprio lavoro con competenze e aperti ai moderni sviluppi che stanno nascendo in questi anni che si devono sviluppare con onestà, trasparenza e competenza».
Enrico Montanari è un medico ormai in pensione. Ha trascorso la vita tra reparti e convegni (e di viaggi ne ha fatti davvero tanti) per studiare le mille e mille sfaccettature della neurologia. Poi impegni in politica e nel sociale, lo hanno reso un uomo con mille esperienze da raccontare. «La medicina in primis non deve essere fatta solo di ricerche e terapie ma anche di assistenze e tanta professionalità» ci spiega.
Enrico Montanari si presenti. Chi è e che carriera ha fatto nel mondo della medicina? «Mi chiamo Enrico Montanari e sono un medico specialista neurologo in pensione dal 2016. Ho lavorato presso l’ospedale di Vaio (Fidenza) dirigendo l’Unità Operativa di Neurologia e per 15 anni il dipartimento di medicina interna e riabilitativa».
Perché ha deciso di diventare neurologo? «Sono diventato neurologo per una scelta ben precisa: ho sempre creduto che la disciplina di neurologia fosse quella più adatta a me. Lo studio del cervello e del sistema nervoso periferico ha riguardato i miei interessi nel campo di ricerca in seguito anche al fatto che gli italiani e i parmigiani in primis, come il Prof Moruzzi, Visintini e Lechi, si sono distinti nel campo della ricerca».
Dove ha studiato? «Ho sviluppato la mia attitudine nel campo neurologico presso quella clinica neurologica universitaria di Parma considerata una delle migliori scuole di formazione in Italia avendo realizzato delle ricerche estremamente importanti nel campo della Neurofisiologia e Neuropatologia. Questa è per me stata una realtà importante perché mi ha messo in contatto con tantissime altre unità di scienza ma non solo in ambito neurologico. Per fare qualche esempio, appena laureato nel ’75 ho avuto un breve periodo di addestramento presso l’ospedale di Marsiglia (Hop. La Timone e Prof. Gastaut) dove ho incontrato diverse persone con cui ho mantenuto i rapporti e ho fatto ricerche con i Reparti clinici e di ricerca delle Università di Bologna (sul sonno) Milano (malattie degenerative) e Roma (malattie neuro immunologiche) che mi hanno dato anche un certo prestigio».
Ha anche due specialistiche… «Sì, ho due specialità una in neurologia fatta a Parma e una in neurofisiopatologia sviluppata al CNR di Genova. Qui conobbi una persona che mi cambiò la vita. Incontrai un professore che veniva dal MIT statunitense la quale mi disse “stai sbagliando strada, la neurofisiopatologia è molto debole perché si basa sul riconoscimento visivo dei segnali, devi dedicarti a quello che è il dato preciso, cioè ad un laboratorio dove i numeri sono sempre indiscutibili”. Così io mi recai a Milano presso il Policlinico nel reparto di immunologia del Prof Zanussi e incominciai a studiare e a fare ricerca su alcune malattie significative come ad esempio la sclerosi multipla, che colpisce soprattutto i giovani e presi contatti con molti centri di ricerca europei e non solo. Cominciai a girare università e ospedali anche americani e sviluppai una serie di ricerche molto importanti: ho fatto parte del primo gruppo in Europa, nel 1993 che ha introdotto gli interferoni nella cura della sclerosi multipla. Da allora ho sviluppato tante ricerche in campo patogenetico e immunologico. Ho avuto quindi una certa referenza a livello nazionale e sono stato consulente della regione Emilia-Romagna nel campo delle neuroscienze».
Sclerosi multipla. Ha studiato anche altre malattie neurologiche? «La seconda patologia che mi ha interessato molto è stata l’Alzheimer e su quello ho ancora partecipato a diverse riunioni e commissioni nazionale e regionali sulle definizioni delle line guida di assistenza e cura. Ho fatto anche il referente organizzativo: ho creduto nelle Case della Salute territoriali per portare fuori dall’ospedale la terapia e l’assistenza nei momenti di vita quotidiana dando risposte nell’immediatezza al malato cronico. Questo mi ha portato a sviluppare altre attitudini nel campo del Parkinson e della SLA che è stato il mio grande cruccio per non essere riusciti a scoprire nulla su questa malattia».
Come si organizza in via extraospedaliera? «Ho girato l’Italia facendo proposte di organizzazione non più ospedaliera alle famiglie e alle persone colpite da malattie neurologiche croniche e ciò mi ha permesso di avvicinarmi al campo del sociale: la mia seconda attitudine (non ho solo quella medica), non solo organizzativa e non solo di assistenza. Ho partecipato alla creazione di Casa Scarzara (comunità per giovani con SM ma senza assistenza). Per molti anni ho partecipato alle attività della AISM fino alla Direzione Centrale. Ho fatto parte di un movimento culturale della politica sanitaria che mi ha condotto ad essere chiamato al ministero della salute in una udienza presso la Commissione Salute sulla definizione delle Linee Guida per la Riabilitazione nella SM».
Come deve comportarsi un medico con queste patologie? «Un medico non può essere solo chi cura, non può essere solo chi diagnostica ma deve essere anche chi assiste. Il vero medico specialista in particolare deve avere una grande capacità di assistere le persone, le famiglie e lo stato sociale e deve sapere come affrontare le difficoltà. È necessario intervenire per dare un sollievo alle persone. Queste persone devono avere delle risposte nella immediatezza dei problemi: I malati non vivono della propria malattia solo quando sono in ospedale ma la vivono anche a casa e in famiglia».
Lei è anche nella Fondazione Cariparma… «Ad un certo punto ho accettato di fare parte della Fondazione Cariparma che non solo mi ha dato orgoglio ma mi ha dato possibilità di entrare in contatto con chi ha delle risorse da mettere a disposizione della comunità. Sono molto soddisfatto dei miei due mandati svoltisi negli ultimi 8 anni perché abbiamo creato con la Università Bocconi un modello di sviluppo di assistenza alle realtà presenti su Parma che ci permette non solo di essere erogatori di risorse ma anche di proposte per un modello di sviluppo della nostra città».
In conclusione? Che consiglio si sente di dare? «Bisogna semplicemente adoperarsi con intelligenza sapendo che il nostro ambiente medico va salvaguardato in tutti i suoi aspetti. Consiglio di investire nella formazione e nella ricerca e in quella chiave politica di rinnovamento ed evoluzione che di cui il nostro ambiente ha estremo bisogno».
Nicolò Bertolini